CICERONE, Prima Catilinaria
Fino a che punto abuserai, o Catilina, della nostra pazienza? Quanto a lungo questo tuo furore si prenderà gioco di noi? Fino a che punto arriverà la sfrontatezza sfrenata? Non ti turbarono per niente il presidio notturno del Palatino, per niente le sentinelle notturne della città, per niente il timore del popolo, per niente l’affluenza di tutti gli onesti, per niente questo protettissimo luogo per tenere la riunione del senato, per niente la bocca e il volto di questi? Non senti che i tuoi piani sono svelati, non vedi che la tua congiura, conosciuta già da tutti questi, è tenuta sotto controllo? Chi di noi ritieni che ignori che cosa hai fatto la notte scorsa, che cosa in quella precedente, dove sei stato, chi hai convocato, quale decisione hai preso?
O tempi, o costumi! Il senato comprende queste cose. Il console le vede; questo tuttavia vive. Vive? Anzi, viene anche in senato, diventa partecipe delle decisioni pubbliche, annota e designa con gli occhi ognuno di noi per la strage. Invece sembra che noi, uomini forti, facciamo abbastanza per lo stato, se evitiamo il furore e le frecce di costui. A morte te, o Catilina; era opportuno che per ordine del console già prima fossi condotto, contro di te era opportuno che fosse portata quella rovina che tu progetti da tempo contro tutti noi.
Ma in verità un uomo magnificentissimo, Publio Scipione, pontefice massimo, da privato cittadino uccise Tiberio Gracco, che aveva danneggiato solo leggermente la condizione dello stato; noi consoli sopporteremo Catilina, che desidera devastare il mondo con la strage e gli incendi? Infatti io trascuro quegli eventi troppo antichi, ovvero che Caio Servilio Ahala uccise di sua mano Spurio Melio che desiderava la rivoluzione. Ci fu, ci fu un tempo all’interno di questo Stato una virtù tale che gli uomini forti punivano un cittadino dannoso con pene più dure di un nemico durissimo. Abbiamo un senatoconsulto contro di te, o Catilina, forte e autorevole, non manca allo stato il consiglio e l’autorevolezza di questo ordine. Noi, noi – lo dico apertamente – noi consoli manchiamo.
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO
DEL 26 AGOSTO 1789
I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:
Art. 1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
IL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO
Vista la deliberazione dell’Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana
PROMULGA
La Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo:
PRINCIPÎ FONDAMENTALI
Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
PARADISO, CANTO XXXIII
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio, 3
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura. 6
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. 9
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,
se’ di speranza fontana vivace. 12
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar sanz’ali. 15
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre. 18
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. 21
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, 24
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. 27
E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 30
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi. 33
Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi. 36
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!». 39
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati; 42
indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro. 45